SHAROL

SHAROL

Quel gesto di guardarsi le unghie sorridendo apparteneva a lei. Sempre, prima di una gara. Era il suo modo di riflettere, di ben augurarsi, di felicitarsi della vita prima di lanciarsi con la tavola fra le onde di Sunset Beach.

Sharol, in piedi, stringeva la tavola come avrebbe stretto un amico per farsi fare una foto ricordo in campeggio. Alle sue spalle, fra il pubblico c’era qualcuno per il quale lei incarnava una promessa e non solo una puntata da qualche dollaro. La promessa che si può essere leggeri su un cristallo d’acqua alto dieci metri. La promessa che la natura si doma, e la certezza che solo alcune persone sono in grado di farlo. Ma anche un’altra promessa.

Nel cordone di folla lui le stava scattando molte fotografie in sequenza, catturando la grazia delle sue spalle larghe ma non troppo squadrate, ingentilite dalle ciocche dei capelli strinati dal sole e dall’ossigeno. Cercava sempre di esserci, lui, a ogni gara. La seguiva tra la California e le Hawaii, ogni volta che gli impegni di lavoro glielo consentivano. La seguiva, ma sempre di spalle, e sempre camuffato. Non era un talent scout, non era suo padre, non era neppure uno del mucchio. Si chiamava Brian Butler ed era il fratello maggiore di Jordan Butler un fuoriclasse del surf estremo.

Il giorno che Jordan morì dissanguato dal morso di uno squalo sulla riva di Sunset Beach, Brian era là a scattare fotografie.
«Promettimi che tu la seguirai, che terrai traccia del suo talento con quella cazzo di Reflex»
«Lei mi odia, Jordan»
«Ehi, non è necessario che tu ti presenti. OK?», disse abbozzando l’ultimo sorriso e voltando il capo verso il mare, mentre le sirene dell’ambulanza in arrivo fischiavano ormai senza più motivo.


 

Copyright © 2015, Silvia Dacomo
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Fotografia di Kanaka Menehune modificata da Silvia Dacomo su licenza (cc) Licensed By Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)