SEDICI SECONDI

Foto di Guido Dacomo

Era entrato in negozio, e con qualche entusiasmo. La porta spinta con l’energia di chi sa di varcare la soglia del posto giusto. Lo sguardo avido di curiosità che fa tutto suo lo spazio intorno. Aveva l’aria di quelli che se ne intendono. Barbara non avrebbe saputo dire, da dietro il bancone, se più di fotografia, o più di esistenza o di entrambe. Le cose non si escludevano a vicenda, se mai si sommavano.

Gli chiese se poteva essergli utile. No, grazie, stava dando solo un’occhiata. Ma lei, dopo vent’anni trascorsi dentro una galleria di manifesti e foto d’autore, sapeva che non sarebbe uscito a mani vuote. In effetti, sfogliava le cartelle plastificate dei poster vintage velocemente, ma senza saltarne nessuna. Solo per scrupolo, certo, come se sapesse già che il pezzo giusto si trovava altrove. Si spostò verso gli espositori di foto d’autore e lì, invece, ci restò parecchio.

«Sto cercando un soggetto marino», disse alzando lo sguardo dai bifocali verso di lei. Aveva modi arruffati e decisi, ma il sorriso delle buone maniere era timido e amabile.

No, non gli avrebbe proposto foto di fari e isole. Anche se non è sempre il soggetto che fa il cliché, sia chiaro. Al momento, non ne aveva neppure di particolarmente originali, le restavano solo alcune foto di marine e porti, invendute da tempo. Ma, ci ripensò. Perché mai un tipo così avrebbe voluto acquistare a tutti i costi qualcosa di originale per sé o per altri? Solo perché era gentile, disordinato, e aveva l’aria di chi, da giovane, aveva messo in discussione il sistema? Erano solo sue nostalgie, meglio non mescolare.

Atteniamoci al marketing dei tempi duri, pensò, e decise di fargli strada verso la banalità.

«Qui ci sono foto molto suggestive, questi scenari di isole per esempio… Tra l’altro sono in saldo, e tecnicamente interessanti», disse.

«Non le ho detto che voglio risparmiare» asserì, infilando le mani nelle tasche del giaccone.

Pessima mossa, pensò lei. Un errore da commessa alle prime armi. Ma tant’è.

«Di questi tempi è un’indicazione che mi sento sempre di dare. Che cosa aveva in mente? Vediamo se posso aiutarla».

«L’oceano… ma senza barche, senza fari, senza navi. Vietati i colori Maldive e le onde colossali. Come vede il campo si restringe… », disse con gioviale ironia.

Barbara si sentiva sfidata dall’intrigante avventore. Perché una foto, adesso che ci pensava, c’era eccome, ma non era esposta.

«Aspetti, forse ho qualcosa che potrebbe fare il caso suo», disse scomparendo nel retro per riapparire con una grande foto in bianco e nero incorniciata, «che ne dice di questa?»

L’uomo studiò prima la foto da vicino, poi l’appoggiò al reggi cornice e si allontanò di qualche passo. Con il gusto malcelato di chi si compiace di trovare il difetto non visto. Eppure in quella foto c’era tutto quello che cercava. Due livelli di stratificazione acquea, uno d’aria e due di terra di cui una bassa marea. L’orizzonte non era liquido, e il cavallo trottava tra confini labili, la riva morbida di alghe e il mare che si ritirava. Trottava, ma non era da immaginario patinato. Non era lanciato in un’infaticabile corsa che solleva spruzzi di mare. Trottava, fiero, appassionato, nero, fra confini mobili di marea e acque a loro modo lucenti.

«Mi piace moltissimo, la prendo…», disse scattando con lo smartphone una foto alla foto. E inviò un WhatsApp.

 

Che te ne pare?

 

Seguì il fischio della risposta.

 

Perfetta!

 

«Pacco regalo?», chiese lei pulendo il vetro con un panno e coprendo gli angoli con sagome di polistirolo.

«Sì, grazie… », rispose osservando la calma dedizione della commessa, «solo una curiosità… come mai non era esposta?, se l’avessi vista in vetrina avrei risparmiato tempo, in una giornata trafelata come oggi sarebbe stato un bello sconto», disse ridendo, ma con aria inquisitiva.

«È vero, ma probabilmente l’avrei già venduta e lei sarebbe ancora in cerca o si sarebbe adattato a un faro o a una marina…», disse abbassando lo sguardo mentre arricciava il nastro con le forbici.

«Sì, ha ragione, ma perché non era esposta?», insistette.

«Perché me l’hanno consegnata due ore fa. Non avevo ancora fatto mente locale», disse. Doveva essere stato giovane anche lui, e forse un po’ prima di lei. Aveva quello sguardo che sa attaccare mordacemente l’esistenza e poi farsene gioco.

«Prendo anche questo biglietto».

«Sì, certo, ecco la penna», disse lei.

Lo intravide scrivere una frase, rapido, senza incertezze. Doveva essere certamente una frase d’occasione. E certo!, pensò, anche l’anticonformista ideale fa prima o poi i conti con l’ovvio.

L’uomo pagò in contanti, ringraziò e uscì. Si mescolò tra il formicaio di teste impavide che sfidavano il freddo polare di quel sabato pomeriggio. Giunto all’angolo, sentì il fischio dal cellulare.

 

Ho riguardato la foto, rappresenta John e quel che tutti vogliamo per lui!!

 

In un’altra vita, John Brown, il festeggiato e futuro possessore della foto, era stato un documentarista televisivo. Sapeva parlare del mare come nessuno. Fauna, flora, onde, tempeste e tutto il resto. Aveva lavorato per piccole case di produzione, poi il salto nello star system dei documentari d’avventura. Le condizioni estreme, i mari più ostici. Poi, i riflettori, le interviste, il successo da tenere a bada, l’adrenalina che scaccia il sonno e la temperanza. Poi, gli sponsor, agguerriti e feroci eserciti celati dietro le balene alle Galapagos. Poi, quella sporca verità che lui aveva scoperto dietro le quinte, seguita da una battaglia furiosa. Per la giustizia, ma senza più alcuna lucidità. Ci vollero appena sedici secondi per fare di lui un omicida. A quei sedici secondi seguirono venticinque anni di carcere. E la porta si sarebbe aperta fra una settimana. Gli amici di un sempre che sembrava impossibile lo avevano aspettato, come si aspetta incerti, ma mai del tutto disillusi, uno di quegli inebrianti ritorni alla giovinezza.

A bordo dell’autobus che dal negozio la riportava a casa, Barbara si era sentita rinascere. Guardava la città scorrere dal finestrino con le sue frenesie, dalle quali si sentiva distante e protetta.

No, la foto non gliel’avevano consegnata due ore prima. L’aveva scattata lei tempo addietro in un luogo dove non sembravano esistere segni evidenti di storia umana. Non c’erano fari, porti, marine, barche. Nessun rifugio. Neppure per lei, del resto, al momento di quello scatto. Voleva liberarsi di quel ricordo, proprio come ci si vuole liberare dell’horror vacui. Era sicura di averlo consegnato  all’uomo giusto. Urgenze simboliche incrociate.

Pochi giorni dopo, alla festa, John Brown, circondato da meno di dieci amici e un cane, scartò i regali e lesse ad alta voce tutti i biglietti.

Il profumo dell’acqua che hai respirato solo con la mente, eccolo di nuovo. Seguilo, John. Segui i confini della libertà per un po’, e poi rompili tutti. Mark.

No, non sarebbe mai potuta essere una frase d’occasione, perché l’amico amava scrivere. Innamorato della vita e dell’acqua, proprio come lui.

John Brown appese la foto nel monolocale, la prima di una serie. E ricominciò a galoppare, fra alte e basse maree, verso il nuovo e irresistibile ignoto.


Copyright © 2016, Silvia Dacomo
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